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Tumore della prostata

Tumore della prostata

Dr. Francesco Curto

Diffusione

Il cancro della prostata è il secondo tumore più diffuso nella popolazione maschile e rappresenta circa il 20 per cento di tutti i tumori diagnosticati nell'uomo, ma il rischio che la malattia abbia un esito infausto è basso, soprattutto se si interviene in tempo.
Una revisione sistematica degli studi autoptici ha evidenziato una prevalenza del tumore prostatico del 5% ad un età inferiore ai 30 anni fino al 59% per un età superiore ai 79 anni.
Il 91 per cento delle persone sono ancora vive dopo cinque anni dalla diagnosi, una percentuale tra le più alte in caso di tumore, soprattutto se si tiene conto dell'età media avanzata dei pazienti e quindi delle altre possibili cause di morte.
L'incidenza, cioè il numero di nuovi casi registrati in un dato periodo di tempo, è cresciuta in Italia ed in Europa in concomitanza con la maggiore diffusione del PSA (antigene prostatico specifico) quale strumento per la diagnosi precoce e l’invecchiamento della popolazione.

Fattori di rischio

La storia familiare e il background razziale/etnico sono associati con una incidenza aumentata di carcinoma della prostata suggerendo una predisposizione genetica.
Gli uomini con un parente di primo grado con diagnosi di tumore hanno un rischio doppio di sviluppare il tumore rispetto a chi non ha nessun caso in famiglia e questo rischio é più elevato in uomini con padre e fratello (5 volte) o due fratelli (7 volte) con diagnosi di tumore della prostata.
Uno dei principali fattori di rischio per il tumore della prostata è l’età: le possibilità di ammalarsi sono molto scarse prima dei 40 anni, ma aumentano sensibilmente dopo i 50 anni e circa due tumori su tre sono diagnosticati in persone con più di 65 anni. I ricercatori hanno dimostrato che circa il 70 per cento degli uomini oltre gli 80 anni ha un tumore della prostata, anche se nella maggior parte dei casi la malattia non dà segni di sé e viene trovata solo in caso di autopsia dopo la morte.
Anche la presenza di mutazioni in alcuni geni come BRCA1 e BRCA2, già coinvolti nell'insorgenza di tumori di seno e ovaio, o del gene HPC1, può aumentare il rischio di cancro alla prostata.

La probabilità di ammalarsi potrebbe essere legata anche ad alti livelli di ormoni come il testosterone, che favorisce la crescita delle cellule prostatiche, e l'ormone IGF1, simile all'insulina, ma che lavora sulla crescita delle cellule e non sul metabolismo degli zuccheri.
I fattori di rischio legati allo stile di vita quale dieta ricca di grassi saturi, obesità, mancanza di esercizio fisico sono solo alcune delle caratteristiche e delle abitudini poco salubri, sempre più diffuse nel mondo occidentale, che possono favorire lo sviluppo e la crescita del tumore della prostata. Alcune metanalisi hanno evidenziato un effetto favorevole dall’assunzione di pomodoro (licopene) e soia (fitoestrogeni). Tuttavia ad oggi non esiste una efficace dieta preventiva o terapie farmacologiche.

Sintomi

Nelle fasi iniziali il tumore della prostata è asintomatico. I sintomi urinari spesso sono legati all'ipertrofia prostatica benigna che può essere copresente con il tumore e determina sintomi ostruttivi come flusso ipovalido e intermittente, difficoltà ad urinare, sensazione di non riuscire a urinare in modo completo e sintomi irritatitivi urinare spesso sia di giorno che di notte, urgenza di urinare.
Quando la massa tumorale cresce, dà origine a sintomi urinari, a dolore quando si urina, sangue nelle urine.

Prevenzione

Non esiste una prevenzione primaria specifica per il tumore della prostata anche se sono note alcune utili regole comportamentali che si possono seguire facilmente nella vita di tutti i giorni: aumentare il consumo di frutta, verdura, cereali e ridurre quello di carne rossa, soprattutto se grassa o troppo cotta e di cibi ricchi di grassi saturi.
È buona regola, inoltre, mantenere il peso nella norma e tenersi in forma facendo attività fisica: è sufficiente mezz'ora al giorno, anche solo di camminata a passo sostenuto.
La prevenzione secondaria consiste nel rivolgersi al medico ed eventualmente nel sottoporsi ogni anno a una visita urologica, se si ha familiarità per la malattia o se sono presenti fastidi urinari.

Diagnosi

Dagli anni novanta grazie alla misurazione del PSA il numero di diagnosi di tumore della prostata è aumentato progressivamente. Lo screening diffuso negli USA è stato associato ad una riduzione della mortalità ma negli ultimi anni si è osservata una riduzione dell'uso di tale test anche se ciò ha comportato un tasso più elevato di malattia avanzata alla diagnosi. Oggigiorno lo screening diffuso della popolazione è stato abbandonato e la misurazione sierica del PSA va valutata attentamente in base all'età del paziente, la familiarità, l'esposizione a eventuali fattori di rischio e la storia clinica.
Il PSA è specifico per l’organo ma non per il tumore e per tale motivo può essere elevato nell’ipertrofia prostatica benigna, nelle prostatiti e in altre condizioni non tumorali. Non esiste un valore soglia di PSA, valori più elevati di PSA indicano una maggiore probabilità di tumore ma molti uomini possono presentare un tumore con livelli bassi di PSA. Un rapporto inferiore 10 tra il PSA libero/totale indica una maggiore probabilità di tumore, ma questo rapporto è utile solo quando il PSA è compreso tra 4 e 10.
I sintomi urinari del tumore della prostata compaiono solo nelle fasi più avanzate della malattia e comunque possono indicare anche la presenza di patologie diverse dal tumore. Il tumore della prostata viene diagnosticato dallo specialista urologo che può decidere di eseguire il test del PSA e l'esplorazione rettale che permette di identificare al tatto la presenza di eventuali noduli di consistenza aumentata a livello della prostata. L’esplorazione rettale da sola ha una specificità e sensibilità inferiore al 60% e quindi non può escludere la presenza del tumore.

L'unico esame in grado di identificare con certezza la presenza di cellule tumorali nel tessuto prostatico è la biopsia prostatica. La risonanza magnetica multiparametrica è diventata fondamentale per decidere se e come sottoporre il paziente a tale biopsia, che viene eseguita in anestesia locale, ambulatorialmente. Grazie alla guida della sonda ecografica inserita nel retto vengono effettuati in anestesia locale, con un ago speciale, circa 12 prelievi per via trans-rettale o per via trans-perineale (la regione compresa tra retto e scroto) che sono poi analizzati dal patologo al microscopio alla ricerca di eventuali cellule tumorali. La biopsia prostatica può essere anche eseguita in maniera mirata sotto la guida della risonanza magnetica multiparametrica effettuata in precedenza con un tecnica di fusione delle immagini di risonanza ed ecografiche. Prima della biopsia è raccomanda la profilassi antibiotica con una singola dose di ciprofloxacina. Le complicanze più frequenti della biopsia sono la presenza di sangue nel liquido seminale, nelle urine o dal retto e più raramente (< 1%) le infezioni fino alla sepsi.

Tipologia e stadiazione

Nella prostata sono presenti diversi tipi di cellule, ciascuna delle quali può trasformarsi e diventare cancerosa; quasi tutti i tumori prostatici diagnosticati originano dalle cellule della ghiandola e sono di conseguenza chiamati adenocarcinomi (come tutti i tumori che hanno origine dalle cellule di una ghiandola).
Oltre all'adenocarcinoma, nella prostata si possono trovare in rari casi anche sarcomi, carcinomi a piccole cellule e carcinomi a cellule di transizione.
Il tumore della prostata viene classificato in base al grado, che indica l'aggressività della malattia, e allo stadio, che indica invece l’estensione della malattia.
Il patologo che analizza il tessuto prostatico prelevato con la biopsia assegna al tumore il cosiddetto grado di Gleason, cioè un numero compreso tra 1 e 5 che indica quanto l'aspetto delle ghiandole tumorali sia simile o diverso da quello delle ghiandole normali: più simili sono, più basso sarà il grado di Gleason. Il punteggio di Gleason viene ottenuto sommando le due gradazioni di tumore più rappresentate (da 6 a 10).

I tumori con punteggio di Gleason 6 sono considerati di basso grado, quelli con 7 di grado intermedio, mentre quelli tra 8 e 10 di alto grado. Questi ultimi hanno un maggior rischio di progredire e diffondersi in altri organi. Più recentemente è stato introdotto un nuovo sistema di classificazione denominato ISUP il quale stratifica la neoplasia prostatica in cinque gradi in base al potenziale maligno e all’aggressività.
La stadiazione clinica del tumore è basata sull’estensione locale del tumore valutato tramite l’esplorazione rettale e la presenza di metastasi dei linfonodi regionali e a distanza valutate tramite la tomografia computerizzata dell’addome (TC) o la risonanza magnetica e la scintigrafia ossea. La PET PSMA ha dimostrato una maggiore sensibilità nella identificazione di metastasi linfonodali rispetto alla RMN multiparametrica.
Per definire lo stadio del tumore si utilizza la classificazione TNM del 2017. La lettera T indica l’estensione locale del tumore, N indica lo stato dei linfonodi (N: 0 se non intaccati, 1 se intaccati) e M la presenza di metastasi (M: 0 se assenti, 1 se presenti).
In base al PSA, al grado di Gleason e allo stadio clinico il tumore è classificato a rischio basso, intermedio o elevato.

Come si cura

Oggi sono disponibili molti tipi di trattamento per il tumore della prostata ciascuno dei quali presenta benefici ed effetti collaterali specifici. Solo un'attenta analisi delle caratteristiche del paziente (età, comorbilità, aspettativa di vita, stato di salute) e della malattia (rischio basso, intermedio o alto) permetterà allo specialista urologo di consigliare la strategia più adatta e personalizzata e di concordare la terapia anche in base alle preferenze di chi si deve sottoporre alle cure.
In alcuni pazienti con tumore a basso rischio (cioè una malattia che difficilmente si diffonderà e darà luogo a metastasi) e/o anziani o con altre malattie gravi, si può scegliere di non procedere alla rimozione chirurgica della ghiandola e non attuare alcun tipo di terapia ma di limitarsi a monitorare l'eventuale evoluzione della patologia, ciò è quello che gli anglosassoni definiscono watchful waiting, una "vigile attesa" che non prevede trattamenti sino alla comparsa di sintomi al fine si salvaguardare la qualità di vita.
I pazienti con tumore a basso rischio possono posticipare il trattamento nel momento in cui la malattia diventa "clinicamente significativa", effettuando inizialmente solo controlli periodici (PSA, esame rettale, RMNmp, rebiopsia) che permettono di controllare l'evoluzione della malattia e verificare eventuali cambiamenti che meritano un intervento (“sorveglianza attiva”). Più di un terzo di questi pazienti vengono riclassificati durante il follow up e la maggior parte sono sottoposti ad un trattamento con intento curativo.

Quando si parla di terapia attiva, invece, la scelta spesso ricade sulla chirurgia radicale. L’obiettivo della prostatectomia radicale è l’eradicazione del tumore con preservazione qualora possibile delle funzioni degli organi pelvici. L’intervento prevede la rimozione dell'intera ghiandola prostatica e delle vescicole seminali seguita dall’anastomosi tra vescica e uretra. I linfonodi pelvici vengono rimossi quando è presente un rischio elevato di metastasi che viene calcolato grazie all’utilizzo di nomogrammi.
La tecnica chirurgica, da quando è stata descritta nel 1904, grazie ai notevoli miglioramenti degli strumenti chirurgici, è evoluta da un approccio a cielo aperto retropubico e perineale a un approccio mini invasivo laparoscopico (1997) e con tecniche robot assistite (2002) grazie al sistema robotico daVinci.
La tecnica robotica (RARP) traduce i movimenti del chirurgo in modo intuitivo e combina i vantaggi dell’approccio laparoscopico ad un maggior confort per il chirurgo grazie all’ergonomia della consolle, alla visione magnificata 3D ad immersione e a strumenti endoscopici mobili su sette assi.
In Italia le piattaforme robotiche daVinci sono sempre più diffuse in tutto il territorio nazionale, anche se uno studio randomizzato non ha dimostrato esiti funzionali ed oncologici migliori rispetto all’intervento a cielo aperto.
I risultati dopo prostatectomia radicale indipendentemente dalla tecnica utilizzata sovente dipendono dal volume di interventi eseguiti dal chirurgo e dal centro.
La tecnica nerve-sparing prevede la preservazione dei fasci neurovascolari e può preservare la funzione erettile in pazienti con una buona funzione pre operatoria; questa tecnica è inoltre associata a risultati migliori di continenza urinaria.
Dopo la rimozione della prostata per i tumori in stadio avanzato è necessario associare a scopo adiuvante la radioterapia e la ormonoterapia.
Lo studio ProtecT ha evidenziato che la radioterapia a fasci esterni combinato con la ormonoterapia è efficace nei tumori localizzati, con risultati oncologici simili a quelli della prostatectomia radicale con un follow up di 10 anni. Il gold standard della radioterapia è quella ad intensità modulata e grazie all’ ipofrazionamento è possibile ridurre il numero di sedute. Un’altra tecnica radioterapica che sembra offrire risultati simili alle precedenti nelle malattie di basso rischio è la brachiterapia, che consiste nell'inserire nella prostata piccoli "semi" che rilasciano radiazioni.
Per il trattamento del tumore localizzato sono in corso di validazione la crioterapia e l’HIFU (ultrasuoni focalizzati sul tumore). La crioterapia prevede la distruzione delle cellule tumorali con il freddo e si realizza tramite il posizionamento di aghi all’interno della prostata sotto guida dell’ecografia transrettale e due cicli di congelamento a - 40°C. L’HIFU prevede la distruzione delle cellule tumorali con il caldo (65°C) e consiste in ultrasuoni ad alta intensità focalizzati sul tumore emessi da una sonda transrettale.
Quando il tumore della prostata è in stadio metastatico il trattamento di prima scelta è la terapia ormonale che ha lo scopo di ridurre il livello di testosterone, ormone maschile che stimola la crescita delle cellule tumorali. La deprivazione androgenica può essere ottenuta sopprimendo la secrezione degli androgeni testicolari o inibendo l’azione degli androgeni circolanti a livello dei recettori o con entrambi. Gli effetti collaterali della terapia sono la riduzione della libido, deficit erettile, vampate di calore, incremento ponderale, osteoporosi, riduzione della massa muscolare, aumento di volume della mammella.
Sono inoltre in fase di sperimentazione i vaccini che stimolano il sistema immunitario a reagire contro il tumore e a distruggerlo, e i farmaci anti-angiogenici che bloccano la formazione di nuovi vasi sanguigni impedendo al cancro di ricevere il nutrimento necessario a evolvere e svilupparsi ulteriormente.
La scelta terapeutica più appropriata dovrebbe essere presa dopo aver discusso tutti i possibili trattamenti con un team multidisciplinare composto da urologi, radioterapisti, oncologici, patologi e radiologi valutando attentamente con il paziente i benefici e i possibili effetti collaterali. In questo modello organizzativo il paziente è messo al centro del percorso diagnostico terapeutico in modo che possa ricevere il trattamento personalizzato più appropriato.